Articolo già pubblicato sulla Newsletter Anasped n.8 / 2022

di Augusto Forges Davanzati

E’ nota a tutti gli addetti ai lavori la vicenda dei controlli sulle prove dell’origine di merci provenienti dal Bangladesh, che l’Agenzia Dogane e Monopoli ha messo in campo nel periodo tra novembre 2020 ad aprile 2022. La procedura, attivata sulla scorta di un avviso agli importatori pubblicato sulla G.U. C42 del 15/02/2008, prevedeva sulle importazioni selezionate, l’invio alle autorità Bengalesi di una richiesta di controllo per “ragionevole dubbio” ed il conseguente deposito del dazio e dell’IVA afferente, in attesa della risposta.

Con grande sollievo da parte di tutti gli operatori, grazie anche alle pressioni delle associazioni ed in particolare di Anasped, in data 22/04/22 è stato pubblicato sulla G.U. C166 una nota che ha revocato l’avviso agli importatori sopra riportato. Il nuovo avviso inoltre, motiva la revoca con il fatto che sulla base delle informazioni disponibili, i ragionevoli dubbi non sono più suffragati da alcun elemento di prova che dimostri il persistere dei rischi sottostanti. Inoltre, considerato che il certificato GSP FORM A non può essere più rilasciato da gennaio 2021, la prova dell’origine si basa esclusivamente sul sistema di autocertificazione REX, peraltro già inserito nel sistema informatico e dunque già controllato. Appare dunque evidente che il suddetto avviso del 2008 è divenuto privo di oggetto, ma è altrettanto corretto ritenere che anche il “ragionevole dubbio” su cui si basa il presunto obbligo del deposito dei diritti doganali, sia stato utilizzato in modo inappropriato.

Nel frattempo però i procedimenti in corso sono giunti a conclusione e, come da regolamento n.2447/2015, in assenza di risposta da parte delle Autorità Bengalesi, ADM sta provvedendo ad incamerare i diritti doganali depositati a garanzia, comminando anche la sanzione ai sensi dell’art.303 TULD.

Particolare non trascurabile: risulta che nessuna richiesta inoltrata da ADM ha ricevuto riscontro negativo (positivo per ADM) da parte delle Autorità bengalesi; tutte, e sottolineiamo TUTTE le risposte pervenute hanno confermato la validità delle prove di origine.

Tuttavia è vero che in alcuni casi le Autorità del Bangladesh non hanno risposto, ma perché?

A questo proposito giova sottolineare che l’invio delle richieste da parte di ADM è stato effettuato a mezzo raccomandata internazionale, metodo obsoleto, ampiamente superato dalla tecnologia attuale, che ha provocato innanzitutto un notevole allungamento dei tempi ed in molti casi la perdita della documentazione che non è mai giunta a destinazione. Inoltre quasi tutte le risposte degli uffici bengalesi sono pervenute a mezzo e-mail, spesso inviate ad indirizzi errati o ad uffici non pertinenti, e ciò ha reso tutto molto più complicato.

Da ultimo non bisogna sottovalutare il fatto che il Bangladesh sia un paese con enormi carenze di infrastrutture materiali ed immateriali, con aziende ed uffici messi a dura prova dalle continue interruzioni della fornitura di energia elettrica. E’ chiaro dunque che se le dogane italiane hanno inondato di richieste di controllo l’unico ufficio pubblico bengalese competente (EPB), questo può spiegare in parte le mancate risposte.

Tutti questi fattori non sono stati tenuti in debita considerazione dall’Agenzia, nonostante l’art 110 del Reg. Ue n.2447/2015 preveda, seppur in circostanze eccezionali, la concessione del regime preferenziale anche in assenza di risposta.

In conclusione, risulta facile immaginare come una procedura così farraginosa abbia determinato il caos anche negli uffici doganali italiani; di conseguenza gli stessi uffici hanno impiegato mesi a definire le pratiche alle quali le autorità bengalesi avevano fornito risposta, tenendo in ansia gli importatori e coinvolgendo la nostra categoria in un enorme lavoro di coordinamento tra ADM, operatori economici, autorità estere. Anzi, possiamo affermare senza tema di smentita che i procedimenti sono stati evasi soltanto grazie al nostro paziente intervento.

Ma siamo alle fasi finali; oggi gli importatori, seppur totalmente estranei a tutta la questione, si trovano di fronte ad un’ardua scelta: pagare i diritti e le relative sanzioni, oppure opporsi, rinunciando ai benefici previsti dal ravvedimento operoso o dalla definizione agevolata. Una vicenda kafkiana che penalizza gli operatori in una fase molto delicata della vita economica del paese. Una vicenda dalla quale ADM, a nostro avviso, non ne esce affatto bene.